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martedì 30 dicembre 2008

Io, Saviano e la passione per il Big Mac

Due cupi corazzati macchinoni di grossa cilindrata dall’aria circospetta mi attendono sotto casa. Un paio di uomini mi fanno accomodare con garbo riluttante nella vettura in testa al convoglio. All’interno il tepore ovattato di un ascensore è reso spigoloso da un uomo che bisbiglia nel microfono che gli spunta dal bavero della giacca.

L’impressione di irrealtà svanisce quando Roberto Saviano mi rivolge un suo tipico «E allora? » farcito dall’ironico incurvarsi del sopracciglio. E io — che sono smarrito come un bimbo rapito dai marziani — non trovo di meglio che replicare: «E allora, eccoci qua».

Non appena l’auto entra in uno stretto parcheggio ha inizio una danza il cui effetto è quello di teletrasportarci dentro al salone di un ristorante (preventivamente svuotato per noi). Non è la prima volta che mi accade di constatare la materna premura con cui la scorta tratta Saviano. Uomini posati la cui età oscilla tra i trentadue anni del più giovane (unico celibe e senza figli) e i cinquanta di quello seduto accanto a Saviano. Ragioni di sicurezza mi impediscono di dichiarare le generalità di quest’ultimo ma non di ricordare il suono della voce che sembra provenire dal fondo di una caverna rinfrescata da un umido effluvio di limoni. Mi parla di quanto sia complicato guidare un auto che pesa quattro volte più del normale. Nota che guardo la grande sacca dietro di lui da cui spunta un massiccio mitragliatore: «È uno Spas-12 perfetto per sedare le sommosse. Siamo ben equipaggiati. Se ci attaccano sappiamo come reagire». L’incubo è un altro: un’intercettazione parlava dell’acquisto di una cinquantina di chili di tritolo. Finché tutto quell’esplosivo non verrà fuori dormiranno un po’ meno tranquilli.

Un paio di estati fa trascorsi una settimana di vacanza con Saviano in una località balneare. Ricordo che non avevo tratto una forte impressione dalla scorta che gli avevano affidato. C’era un che di eccessivamente esaltato nel contegno di quei ragazzi. Tutto il contrario di questi qui. La cui professionalità sembra esprimersi nel modo dimesso, quasi ironico, di svolgere le mansioni. Sebbene il cameratismo s’incentri sulla condivisione di un destino che potrebbe rivelarsi tragico, il tono della discussione ostenta la leggerezza tipica di chi ha bisogno di esorcizzare.

«Quando uscì la notizia che volevano farci saltare in aria sulla Roma-Napoli» dice Saviano «la reazione dei ragazzi fu quella di correre ancora più forte. Da casello a casello in quarantacinque minuti».

«Più corri più li induci all’errore» chiarisce il mio vicino di sedia.

«Dopo quella cazzo di notizia mia moglie per la prima volta mi ha chiesto spiegazioni. Era terrorizzata ».

«Invece mia moglie ci scherzò su: "Insomma per Natale vi vogliono fare il pacco regalo"». «Una volta lessi che un killer era entrato in un locale e aveva chiesto: "Chi è che si chiama Gennaro?". Il tizio che rispose: "Io" si beccò una bella pallottola in fronte. All’epoca lavoravo con un giudice e gli dissi: "Senta, dotto’, se qualcuno ci chiede se c’è uno che si chiama Andrea, la prego, faccia rispondere me"».

Il ribollire d’una discussione così spiritosamente macabra non mi ha impedito di notare una stranezza. Un attimo dopo l’arrivo in tavola di vassoi colmi di diversi tipi di pasta, l’uomo dalla voce cavernosa ha afferrato il piatto di Saviano riempiendolo di un trittico di primi.

Frequento Saviano da un tempo sufficiente per sapere che il suo rapporto con il cibo è complicato come quello dei bambini. Accade che lui ti chiami e ti chieda di andarlo a trovare nella sua tana del momento: «Sono solo. Non mi va di rompere le palle ai ragazzi. Perché prima non passi da un cinese? Va bene anche un Big Mac». La stranezza non è in gusti gastronomici così corrivi. Semmai nel modo con cui Saviano tratta quella sbobba. Mangia con gli occhi più di quanto non faccia con la bocca. Si avventa sul cibo con aria famelica, ma si sazia subito. Si alza in piedi, inizia a parlare e a gesticolare come una marionetta. Ti racconta le abitudini sessuali di qual capomafia, l’ossessione per le ostriche di quel pentito. E lo fa per impressionarti, con aria di sfida, ma anche perché non può farne a meno.

L’ossessione di Saviano per l’universo malavitoso ha origini balzacchiane. Lui si interessa al caleidoscopio criminale con la dedizione di un moralista classico. Tale fissazione è così radicata da aver polarizzato ogni altro interesse: ecco perché Saviano è un ospite straordinario quando t’invita nel suo regno ma non è mai disposto a muovere le chiappe per venire a visitare il tuo. Ciò che non gli somiglia non lo interessa. Puoi condurre la discussione su qualsiasi terreno: sport, politica, sesso… Ma le sue idee su questi argomenti difficilmente superano la soglia del buonsenso. Ma se ti interessa il genio allora ti basta innescare la sua monomania. Intanto il resto finisce con l’annoiarlo. Le proposte sessuali che riceve tramite My space o Facebook—a prescindere dal sussulto di orgoglio che gli procurano —, o le attempate signore bene che gli si offrono, non lo avvincono più degli spring rolls o dei Big Mac. Non c’è uomo più immune da istinti edonisti di Roberto Saviano.

Anni fa Mario Desiati, all’epoca segretario di redazione di Nuovi Argomenti nonché scout della Mondadori, mi fece leggere un racconto-reportage sulla malavita campana scritto da un certo Roberto Saviano. Poco più che ventenne aveva pubblicato qualche articolo molto tosto e documentato su Lo straniero e su Nazione indiana. A Mario sfuggì un commento tipo: «È una forza della natura ma anche un kamikaze. Bisogna tenerlo d’occhio». Non capii se alludesse al suo destino editoriale o alla sua incolumità. Come pensare che solo pochi anni dopo le due dimensioni—quella artistica e quella legata alla sicurezza—si sarebbero così inestricabilmente intrecciate? Il nostro incontro avvenne qualche settimana dopo, in occasione della presentazione del mio libro organizzata dai miei zii napoletani al Circolo Canottieri. Ed eccolo lì, dove non te lo aspetti, in fondo alla solenne club house con le finestre aperte su spicchi di cobalto. Eccolo lì, splendidamente inadeguato, con jeans da teddy boy, scarpe da ginnastica e occhi dipinti di fresco da qualche allievo di Luca Giordano. Eccolo lì, impantanato in tutta la sua goffaggine sociale. Sebbene Saviano fosse il prodotto di un milieu borghese, era evidente il suo disagio in un contesto mondano. Andammo a prenderci un caffé. Così entrai per la prima volta in contatto con l’arcipelago-Saviano. Camminammo un po’ per Piazzale dei Martiri, ci inerpicammo lungo Via dei mille. Non c’era cinema, né negozio, né ristorante che non custodisse un retroscena malavitoso. Come se il mondo che credevo di conoscere non fosse altro che la presentabile calcomania di un universo popolato di spettri. Capii subito che Saviano apparteneva a quel genere di scrittori per cui la bellezza dorme acquattata sotto spessi strati di immondizia.

Il fatto ragguardevole è che l’enorme risonanza planetaria che il lavoro di Saviano ha frattanto ottenuto non ha in alcun modo alterato il suo sguardo. Ora è certo più scaltro, più vanitoso, più navigato, più guardingo (chi non lo sarebbe al suo posto?), ma il suo sistema solare continua a girare intorno alla stella mefitica da cui è letteralmente tormentato. La sua mente è sollecitata dalla geometrica perfezione dalle strutture criminali. Una vocazione che gli ha consentito di tradurre la dietrologia in un efficacissimo strumento conoscitivo privato del quale si sentirebbe nudo e improtetto. L’ironia è che il suo desiderio di proteggersi abbia finito con il renderlo uno dei dead man walking più protetti del pianeta!

«Quando all’estero mi affidano una scorta» mi dice ridendo «la prima cosa che faccio è cercare di capire come sono organizzati. Il che mi aiuta a conferire un senso a quello che sta avvenendo, e a prevenire quel che sta per succedere ».

Finché la conversazione tra me e lui si fa più intima: «La fine di un amore. Ecco una cosa che non capisco. Contro la quale mi ribello. Forse perché lì il meccanismo mi sfugge. È come se d’un tratto tutto negasse ciò che hai impiegato del tempo ad accettare. L’esatto contrario del mondo criminale. Fatto di slealtà e tradimenti, ma obbediente a regole precise. Non trovi che la sfera affettiva sia quella che riservi le sorprese peggiori?».

Il desiderio di essere amato, la competizione, la richiesta continua di protezione e di riconoscimenti, la suscettibilità. Tutto questo fa di Saviano un suddito onorario del regno di Edipo. «Mia madre è una donna bella con un carattere da colonnello che si è ammorbidito con gli anni. La mia vita è stata il tentativo di dimostrarle che ero meglio di quello che sembravo. Temo mi considerasse una specie di intellettuale inconcludente ».

Be’, converrete con me che l’encomiabile zelo con cui Roberto Saviano ha voluto dimostrare a una madre così potente di valere qualcosa ha dato frutti fin troppo spettacolari. E tuttavia la mia esperienza personale mi suggerisce che Saviano non si sia emancipato dai riti di quel legame originario. Qualche tempo fa Saviano mi chiese cosa pensassi di un suo articolo. Gli dissi che non era la cosa migliore che avesse scritto. Capii dal tono della voce che quel responso da me pronunciato con tanta leggerezza aveva alterato in modo irreparabile la piega del suo umore.

Casa Saviano. Un vero ossimoro. Da che lo conosco questo è il quarto rifugio in cui mi invita, e d’altra parte ci tiene a dirmi che si tratta di una sistemazione temporanea. A dispetto delle precedenti dimore almeno questa non è angusta né squallida, sebbene egualmente impersonale. Una romantica soffitta all’ultimo piano di un vecchio palazzo. «Che ne dici se apriamo un panettone che mi ha regalato un pasticciere devoto? ».

Non mi stupisce che gli facciano regali votivi. Più di una volta mi è accaduto di constatare il fervore che la vista di Saviano suscita nel prossimo. Quella volta in cui una mamma volle che Saviano toccasse la testa del suo bambino.

Scene del genere mi suscitano ripugnanza, ma anche un fosco divertimento. Le assimilo all’idolatrica devozione a Padre Pio o al culto postumo di Pasolini. Qualcosa di irrimediabilmente italiano che non mi piace. Curioso il modo in cui Saviano assimila il culto di cui è fatto oggetto. Con divertimento direi. Ma anche con una serietà che ti lascia sbigottito. È come se lui intravedesse una relazione tra l’ardore religioso che anima gli altri e la sua percezione di essere in pericolo. Non ho mai conosciuto, per ovvie ragioni, un mio quasi coetaneo che dovesse affrontare quotidianamente l’idea della propria fine. Certe volte sembra quasi che morire è il minimo che la gente si aspetti da lui. Sebbene Saviano abbia un’idea letteraria della propria morte, non ne sottovaluta i lati truculenti tanto meno quelli comici. «Certo, l’idea che un’esplosione mi stacchi una gamba mi fa orrore».

Ricordo quando Saviano mi disse che i casalesi lo volevano eliminare. Era l’autunno del 2006. La notizia stava per divampare. E lui non trovò di meglio che mettersi a piangere di infantile disperazione. Da allora però il suo contegno è cambiato. Il suo umore si è adattato al vertiginoso binario d’una montagna russa impazzita. Ogni tanto annuncia (via sms) che ha un brutto presentimento. Lo chiami e lui non risponde. Altre volte ti spiega con tristezza, come se la cosa non lo riguardasse, che è inutile farsi illusioni, tanto quelli «non dimenticano». Sicché dalla sua enciclopedia dell’orrore stipata di atti criminosi tira fuori un paio di storie istruttive: «Ale, si tratta di persone dotate di una pazienza infinita. Quando tutti si saranno stancati di questa storia, loro agiranno. Te l’ho detto, per i casalesi tutto è cinema. L’happy end è il mio cadavere ».

Il panettone è squisito. Ha il colore giusto: un giallo paglierino dato dall’eccesso di burro. Ma Saviano lo maltratta, piluccando pezzettini di pan di spagna dopo averli separati da uvette e canditi. Ci mettiamo nel piccolo soggiorno. E lui fa la solita fatica a sistemarsi. Si stira, si alza, si risiede. Sembra che stia cercando la soluzione più scomoda per sedersi. Il suo fisico è snodato come quello di una burattino. Fumiamo sigari all’anice e lui mi fa: «Che ne pensi di questa roba del Partito democratico?».

«Delle lezioni di moralità che dovresti impartire ai nuovi dirigenti?».

«Esattamente».

Gli dico che raramente ho sentito una cazzata più ridicola, tendenziosa, demagogica. Gli chiedo se non gli costi essere diventato un’entità politica così influente. Se la responsabilità a cui è tenuto, quel modo di misurare le parole che lo ha reso un’icona bipartisan, non sia una negazione dello spirito kamikaze di Gomorra.

«Se mi abbandonassi, ora che ne ho il potere, a una serie di dichiarazioni di pancia, metterei in pericolo tutto quello che ho raccontato. Ma la responsabilità non inquina la mia operatività. L’articolo in cui fornivo gli indirizzi dei mandanti e degli esecutori degli omicidi dei sei africani mi sembra che rispettasse lo spirito di Gomorra ».

Per dire come il suo libro abbia infettato i miei pensieri gli dico come fino a poco tempo fa quando m’imbattevo nel termine Gomorra pensassi alla Bibbia oppure alla Recherche mentre oggi invece mi ritrovi subito scaraventato a Casal di Principe ma anche in quel fucsia genialmente pop dei cartelloni pubblicitari del film di Garrone. Ride. E continua: «Io sono contro l’economia criminale che considero la vera gorgone del capitalismo contemporaneo. Questa è la mia sola passione politica. E la letteratura naturalmente. Anche se lo sai, m’interessano gli scrittori che usano il sangue al posto dell’inchiostro: Junger, Nizan, Cendrars, Céline».

Il dato affascinante è che una frase come questa che, pronunciata da qualsiasi altro, suonerebbe pretenziosa, sulla bocca di Saviano prenda un suono così vivido. La cosa che gli invidio (almeno dal punto di vista professionale) è l’essersi conquistato sul campo il diritto alla retorica. Sapete com’è: i millenni che ci separano da Omero ci hanno fatto dimenticare, per una questione di buon gusto e per un’idea tutta moderna di autenticità, quanto la retorica sia nutriente per la nostra vita spirituale. Ebbene, tutto quello che Saviano ha fatto fin qui sembra essere al servizio di una strategia: poter pronunciare certe impronunciabili frasi, ingaggiare, con l’aiuto della scorta, un’omerica battaglia contro un branco di assassini. Sapete, l’intercalare che precede tutte le sue proposizioni è «paradossalmente ». Un avverbio che suona come una specie di auto-definizione o come una preventiva richiesta di scuse per l’improbabilità di ciò che sta per narrare.

Ma quando ricaccia fuori la solita solfa degli scrittori che sarebbero tutti «pavidi», perdo le staffe. E gli chiedo se non attribuisca al termine «coraggio» un’accezione un po’ troppo hollywoodiana: «Insomma certe volte si direbbe che dovendo scegliere tra Charles Bronson e Gustave Flaubert getteresti dalla torre quest’ultimo senza pensarci un attimo. In fondo la paralisi nevrotica in cui Kafka viveva gli ha consentito di cogliere la condizione umana in un modo assai più efficace dei tuoi Junger o Nizan del piffero».

«Be’ allora pensa al coraggio di Primo Levi». E anche qui ci troviamo decisamente in disaccordo. Se c’è una cosa che mi tocca della tragedia di Levi è che lui non se l’è andata a cercare. Ce l’hanno trascinato…

Lascio casa Saviano con il senso di vacuità (certo incongruo) di chi abbandona un uomo solo. Il destino è sempre determinato dalle tue scelte, mai dal caso. Parola di Jean-Paul Sartre. Le scale, l’ascensore, l’androne dell’elegante stabile ottocentesco parlano con gli odori e le luci del Natale incipiente. È tardi e fa un freddo orribile. L’eco dei miei passi mi percuote i timpani. L’idea di uscire da quel portone per un attimo (un secondo appena) mi fa rabbrividire. Non ha senso vivere così.

Alessandro Piperno---Corriere della Sera

lunedì 29 dicembre 2008

Arbasino stronca La Dolce Vita

«Flaiano conosceva meglio di tutti l'ambiente intellettuale di Roma... Ma da dove sono venuti quegli intellettuali che ne "La dolce vita" dicono quelle stupidaggini tremende?».
Lui, in via Veneto, era di casa e apparteneva alla compagnia di giro notturna che ben prima del film di Fellini si spostava nel triangolo compreso tra Rosati, il Café de Paris e Doney.
Arbasino attacca:«Flaiano sapeva benissimo cosa fosse il salotto Bellonci, chi frequentava la casa di Emilio e Leonetta Cecchi. C'erano signore intellettuali, Paola Masino, i coniugi Graziadei, i D'Avack, tutt'altro tipo di intellettuali rispetto al film, cioè grandi avvocati e signore laureate... Non corrispondono a quei personaggi così ridicoli, nella loro tragicità».
Arbasino torna ai tempi più belli: «Io andavo al "Mondo" poi a mangiare in una trattoria di via Frattina che non c'è più o da "Cesaretto" in via della Croce. Poi al cinema, o al teatro. Infine di nuovo a mangiare. Si finiva a via Veneto... orari spagnoli». E qui il primo affondo: «Il film ha segnato la fine della vera dolce vita, che non si chiamava così perché il titolo è di Flaiano. Dopo il film arrivarono frotte di turisti, e addio. Una vera tragedia. Lì nacque un'altra battuta di Flaiano: "Vedi, quelli? Credono di essere noi"». Ma non finisce qui. Arbasino tira un sospiro di sollievo: «C'è stata vera saggezza. Perché nessuno di noi veri avventori della dolce vita partecipò al film. Fellini era un amico, veniva a sedersi spesso ai nostri tavoli, conosceva tutti benissimo, arrivava in compagnia di Guidarino Guidi. Al tempo delle riprese ci chiese spesso di partecipare interpretando noi stessi. Una sera ci invitò a vedere via Veneto ricostruita a Cinecittà da Piero Gherardi». Qui il giudizio di Arbasino è positivo: «Era tutto molto accurato, un Doney perfetto con un po' di Excelsior dietro... Visto che avevamo approvato tutto, Federico tornò all'attacco: "non prendereste parte a qualche ripresa, così..." E noi tutti insieme "no, no, no". Guidarino Guidi insisteva molto. E saggiamente rimanemmo fuori. Era facile prevedere che in seguito si sarebbe stati "sbertulati". Un termine dell'epoca per dire "presi in giro" ».
Il più bel ricordo legato al film, secondo Arbasino, è la prima proiezione di prova: «Una copia di montaggio non ancora doppiata, ogni attore parlava nella sua lingua, sul sottofondo c'era la voce di Fellini che dava indicazioni, invece della musica di Nino Rota c'era in modo ossessivo L'opera da tre soldi di Kurt Weill che aiutava a fare atmosfera durante le riprese. Affascinantissimo ».

Liberamente tratto da un articolo di P.Conti su Corriere della Sera-----------------

sabato 27 dicembre 2008

Scegliere dove vivere non è mai stato così importante

Il premio Pulitzer Thomas Friedman immaginava un mondo dove Internet e lo tsunami della globalizzazione avrebbero azzerato barriere e distanze. E reso insignificante la scelta del dove abitare.
Il sociologo Richard Florida rimette la città al centro e sostiene la tesi opposta: “the world is spiky”, cioè è come un istrice pieno di aculei, dove le metropoli in crescita che attirano la classe creativa, generano denaro e innovazione, si contrappongono alle ampie zone praticamente deserte.

Perché il ritorno alle città? «Ci sono varie ragioni», dice Saskia Sassen, docente di Sociologia alla Columbia University e autrice di Una sociologia della globalizzazione (Einaudi) e Territorio, autorità e diritti (Bruno Mondadori). «La prima è che i giovani preferiscono i grandi centri abitati rispetto a quelli piccoli e alle periferie, e i nuovi settori di crescita economica generano una domanda di persone giovani altamente qualificate. La seconda ragione ha più a che fare con una trasformazione strutturale: la nostra economia di servizi richiede lavori che devono essere svolti in aree urbane, ovvero piccole città per quelli di routine, e città globali per quelli più complessi».

L’economia globale è trainata da 40 megaregioni (grandi agglomerati come la Greater London o New York) dove il 20% della popolazione mondiale produce due terzi della ricchezza. Sono queste megaregioni che comandano le migrazioni.

Cosa rende una città più attraente di altre? «Le città più desiderabili conciliano tendenze opposte. Caos e ordine. Da una parte devono essere molto stimolanti da un punto di vista creativo, innovativo, dall’altra devono offrire calma, pace e una sensazione di rifugio». In queste città si forma un circolo virtuoso: gli individui producono idee che generano la nascita di società e quindi capitale. Sempre secondo Charles Landry, Monaco, Dublino, Helsinki e Amsterdam rispondono a entrambi i requisiti, così come Barcellona e Copenhagen.«L’Italia è un Paese frustrante», dice Landry, «perché sebbene le persone siano creative e adattabili non c’è una leadership, a tutti i livelli, che possa trasformare questa creatività in realtà, cioè in risposta a problemi di tutti i giorni come il crimine o la questione ambientale».

Ma le città non attraggono solo l’élite, la classe creativa, professionisti che conducono vite privilegiate e non hanno nessun problema a integrarsi.

La migrazione di massa deve essere governata non solo dal governo, ma da un’altra serie di attori tra cui clero, gruppi civili e forze economiche. E la tolleranza è fondamentale per il successo della città. «Ad Amsterdam le diverse culture contribuiscono al livello di follia creativa, qualità che dovrebbe offrire ogni città interessante. Madrid e Belfast hanno ottimi programmi di integrazione. Ma altre volte gli immigrati vivono in mondi paralleli che escludono gli altri», dice Landry. Le città non sono solo fonte di opportunità ma anche di rischio.
Le città hanno perso la capacità di controllare i conflitti tramite commercio e attività civica, e quelle più importanti stanno diventando avamposti di guerra».

Liberamente tratto da un articolo su La Repubblica delle Donne--------------------------------------------------------------------------------

venerdì 26 dicembre 2008

Post Natale

Natale è passato, oggi sembra già il tempo di attendere il prossimo.
Il silenzio della neve che scende non si è fatto sentire, le canzoni tipiche non hanno rumoreggiato per le vie della Faleriense, però il parroco ha offerto qualcosa di caldo dopo la messa di mezzanotte.
Lavorare a Natale è assolutamente destabilizzante: non ti abbuffi perchè poi non puoi stare abbioccato dalla digestione, sfugggi al make e remake continuo del versare zucchero a velo e masticare panettone mentre giochi a carte o comunque eviti di poltrire proprio mentre la lasagna viene sapientemente sminuzzata dagli enzimi.
Ho lavorato anche oggi. Un pasto modesto in compagnia, i parenti salutati per telefono e i panni da ritirare dopo che hanno passato l'intero pomeriggio all'addiaccio.
Quest'anno è veramente molto diverso da tutti gli altri anni, mai lo avrei immaginato. Ed è solo l'inizio!

martedì 23 dicembre 2008

Auguri personalissimi

Ogni anno ci arriva un Dicembre diverso, più o meno caldo, più o meno povero, quest'anno ci mancava anche la crisi ufficializzata (perché è un pezzo che c'è crisi!), ma a Natale si sente sempre un calore speciale.
A me il Natale piace... e magari fossero tutti più buoni!
Andare o no a messa, andarci il giorno della vigilia o attendere la mattina del 25, dopo aver digerito il cenone stipato nello stomaco ( e che poi si adagia ben bene sulla panza!), aprire i regali con o aprire i regali senza, prima o dopo, a casa mia o casa tua, con i miei o con i tuoi...ma tu l'hai fatto l'albero? e il presepe?
Io ho fatto tutto. La sera mi butto sul divano e mi incanto a guardare le lucine dell'albero(due giorni fa mi sono anche accorta che facevano un movimento di cui ero ignara) e poi, ogni tanto, mi chiedo ma quante diavolo di luci nel mondo saranno accese per adornare gli alberi? Tante luci tanta energia...giuro che lo penso solo ogni tanto. Però a me piace il Natale.
E poi il presepe. Non è che l'ho fatto, quest'anno sarebbe stato troppo complicato. Diciamo che ne ho alcuni, piccolini, sparsi un pò per casa. Giuseppe, Maria, Gesù, il Bue e l'Asinello (la lettera maiuscola se la meritano tutta, è una vita che son loro!)...quella sì che era una famiglia.
Gli auguri.Quanti ne arrivano, quanti se ne fanno. I negozianti sembrano volermi un gran bene, elargiscono buon Natale al pari dei buongiorno o buonasera. Stamane ne ho sentito uno che addirittura aggiungeva "quest'anno ci vuole proprio".
Dicevamo, gli auguri.Io auguro a tutti quelli che conosco, e che non conosco, ai colleghi, ai vicini, ai ragazzi dell'associazione, a quelli che incontro quando passeggio sul lungomare, al mio fornaio di fiducia, ai miei librai di fiducia, al Mercatino Simpatia (la COAL di fiducia), al postino, ai giornalisti, alla merceria di fiducia (ottima spacciatrice di calze), ai musicisti, ai cantanti, agli artisti vari ed avariati, al farmacista che fortunatamente frequento poco, agli amici e alle amiche, al parroco, ai vigili urbani, al presidente della Repubblica (perchè l'Italia è una Repubblica, pure fondata sul lavoro), e poi... a tutti, su, a tutti quelli che leggono, auguro Serenità...che dopo la Salute penso sia l'unica cosa necessaria a vivere bene.

venerdì 19 dicembre 2008

Neve...ancora

Il giovane contemplò il disegno davanti a sè, poi guardò la donna e capì che si trattava dello stesso sogno, avverato in quel poco di realtà rimasta in sospeso intorno a lui.
"Vi aspettavo da tempo," disse.
La giovane posò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi.
"Sapevo che avresti atteso ancora."

Neve, Maxence Fermine



Il giusto tempo.

domenica 14 dicembre 2008

Cinema in video

Nightmare before Christmas, film d'animazione ideato da Tim Burton ( lo stesso di La sposa cadavere).

Se avete la curiosità necessaria a scendere lungo il blog, potrete vedere con i vostri occhi di cosa parlo, semplicemente visionando la sezione Cinema in video.

Ascoltando, nemmeno troppo attentamente, potrete riconoscere la voce di Renato Zero (sorcini!).Quest'anno è uscito un album titolato Nightmare Revisited dove molti artisti rivisitano le canzoni della colonna sonora del film uscito nel 1993.
Bisogna dire che già nel 2006 uscì un doppio cd con le musiche originali e alcune cover.

Addirittura i Blink-182 cantano una strofa che si riferisce ai protagonisti-animati del film: "We can live like Jack and Sally if you want/where you can always find me/we'll have Halloween on Christmas/and in the night we'll wish this never ends".

sabato 13 dicembre 2008

Neve

Agli occhi di Soseki, neve sembrava al tempo stesso poesia, pittura, calligrafia, danza e musica. Era neve e rappresentava tutta la bellezza dell'arte.

Neve,Maxence Fermine

Buone Feste

venerdì 12 dicembre 2008

La mia prima censura

Seratina tranquilla?! ha subito censura.
E' la prima volta che vengo censurata!

Dopo varie critiche da chi si dichiarava amico e dopo che le donzelle in foto hanno creduto ai giudizi arrivati...beh, ho dovuto togliere le foto.
...a me piacevano!...ok ok...non erano belle, anzi, piuttosto bruttarelle...però simpatiche!no?

mercoledì 10 dicembre 2008

Social card

Tremonti: «Costerà a regime 450 milioni di euro. Verrà ricaricata ogni mese con 40 euro».

A CHI SPETTA - «La social card spetta ai cittadini ultrasessantacinquenni e alle famiglie con figli piccoli (fino a tre anni) che abbiano un reddito Isee (indicatore della situazione economica equivalente) fino a 6.000 euro. Per chi ha più di 70 anni la soglia di reddito isee che dá accesso alla carta acquisti è fino a 8.000 euro. Nel caso di più figli sotto i tre anni gli accrediti si sommano» ha aggiunto Tremonti.

COME FUNZIONA - La social card verra ricaricata dallo Stato ogni mese per un importo di 40 euro più gli sconti delle catene commerciali convenzionate. Chi la riceverà entro il 31 dicembre avrà già un credito di 120 euro per i mesi di ottobre, novembre e dicembre.
Non capisco perchè le persone vanno e vengono dalla mia vita senza che io sia d'accordo
A.C

martedì 9 dicembre 2008

L'uomo che piantava gli alberi



L’uomo che piantava gli alberi
Un pastore solitario e tranquillo della Provenza pianta alberi e nel corso degli anni riesce a trasformare una regione arida e desolata in una vera e propria foresta. Una parabola sul rapporto uomo-natura, una storia esemplare. Dal PREMIO CIAK SI LEGGE - Grinzane Cinema 2004 e dall’omonima trasmissione che ha lanciato i booktrailers in Italia, una selezione dei video partecipanti. Liberamente tratto da “L’uomo che piantava gli alberi” di Jean Giono. Abilmente prodotto da Stefano Caprioli, Eva Volpato, Daniele Bruni.

lunedì 8 dicembre 2008

Seratina tranquilla...?!

Eppure avevamo solo fatto un giro al centro commerciale in esplorazione per i futuri acquisti natalizi e una breve sosta in libreria a sbirciare tra gli scaffali...dimenticavo, eravamo passate anche da Maga Cacao, il nostro spacciatore di dolci di fiducia.

Minestrina come le migliori signore anziane, partitella a Domino e a Saltinmente e poi...i dolci che avevamo comprato!

Il risultato è proprio quello che testimoniano le foto.
E la domanda sorge spontanea:-Ma perchè esporci al pubblico ludibrio?

...ma chi se ne frega!

giovedì 4 dicembre 2008

Incontri, dèjà vu e...sesso o amore?

Di incontri strani ne ho fatti, ma raramente mi è successo di vedere qualcuno e di sentire che già faceva parte della mia vita senza ricordare di averlo mai conosciuto.
E' eccezzionale...è un riconoscersi senza conoscersi.

Ieri guardavo Voyager, si parlava dei dèjà vu e mi son sentita chiamata in causa, immagino come tante altre persone.
Però quello cui mi riferisco all'inizio del post è ancora altro.
Non si tratta di rivivere una determinata situazione o di sentire di esser già stati in quel luogo, è sentire di conoscere da tempo chi si ha davanti.
Non è un gesto che fa o una frase che dice...sono gli occhi che si guardano e... si riconoscono.

Da discussioni varie su questi temi emerge comunque che si tende a definire questo fenomeno innamoramento. E' come l'aver trovato il pezzo mancante, l'altra metà della mela, il necessario e ricomporre l'unità cui si riferiscono i filosofi greci.

sexus,il separato.Ciò che è separato può aspirare legittimamente a ricongiungersi con ciò da cui è stato separato
R.Gasparrotti, Filosofia dell'Eros

Il mito dell'androgino, che trovate nel Simposio di Platone, racconta la nascita di Eros e dell'uomo. In poche righe vi dico che i progenitori degli uomini erano androgini, possedevano il maschile e il femminile. La superbia di questi fece sì che Zeus li punì dividendoli a metà. Da quel momento gli uomini saranno mossi dall'insopprimibile desiderio di ripristinare l'originaria natura.

Dimenticavo. Si potrebbe discutere anche sul rapporto sesso (sexus) e amore.
Il marchese de Sade pensa che l'amore è solo sesso e lo esprime benissimo per bocca di Madame de Saint-Ange che si rivolge ad Eugenie in Filosofia nel boudoir.
Per molte persone sarà difficile condividere questa posizione, piuttosto griderebbero stizzite che il sesso non è l'amore, questi aggiungerebbero magari che i due termini sono reciprocamente incompatibili.Nel corso della storia, la nostra, il sesso viene desacralizzato.Non serve più a riunire, ma diventa mania (mica quella divina dei filosofi!).

Per chi volesse approfondire l'argomento, consiglio di leggere Filosofia dell'Eros di Gasparrotti e il Simposio di Platone. Sono libri brevi e piacevoli.

Se avete qualche altra tesi scrivetela pure nei commenti.

mercoledì 3 dicembre 2008

Citazione

Durante la lettura qualcosa potrebbe succedere, un'influenza al contrario, che invece di ammalarci ci guarisce.
Vivian Lamarque

martedì 2 dicembre 2008

Acqua alta a P.S.Elpidio


Per chi ha letto e leggerà i commenti al post Acqua alta a Venezia.

Erosione, il mare indietreggia di qualche metro

PORTO SANT’ELPIDIO - Il mare non è tornato al livello di guardia, ma è indietreggiato di qualche metro rispetto alle ondate dello scorso fine settimana, restituendo un po’ di respiro agli esercenti pesantemente danneggiati. Ma che si farà ora, e come ci si preparerà a sicure, nuove mareggiate nel corso dell’invernata? Si sta prendendo intanto in seria considerazione la possibilità di aggiungere nuovi massi di cemento a protezione delle zone più danneggiate. Quelli inseriti fino ad oggi hanno protetto la costa per qualche giorno, poi sono in parte affondati nel terreno, o si sono inclinati in avanti, lasciando campo alle onde. Possibile che si decida di collocare un’altra fila di blocchi, sia all’altezza del Sudomagodo e Saxa Beach, sia al camping Mimose, per irrobustire la barriera. Quanto ai lavori in mare. Intorno alla metà del mese, un collaudatore valuterà i lavori di posizionamento delle scogliere. Dovrà riscontrare attraverso una relazione tecnica se siano effettivamente terminati, come sosterrebbe la ditta, o se manchi un’ulteriore fase. In ogni caso, indubbio è che si dovrà tornare a metter mano alle barriere frangiflutti. Un’opera che non sarà commissionata alla stessa impresa che ha operato in mare fino a questo momento. Si dovrà anche rivedere il progetto e capire in quali modalità intervenire per salvare i tratti di lungomare devastati nell’ultimo anno. Intanto, l’Amministrazione comunale si è attivata per chiedere lo stato di calamità naturale alla Regione Marche, se pur con modeste possibilità concrete di riuscita. La Confcommercio infine ha rinviato la cena conviviale con tutti gli stabilimenti balneari programmata per questa sera in segno di rispetto per i danni ad alcuni esercizi, esprimendo ai proprietari piena solidarietà.

Corriere Adriatico del 2.12.08 Cronaca di P.S.Elpidio

lunedì 1 dicembre 2008

Acqua alta a Venezia

Amare indistintamente tutto...non amare distintamente nulla

Mi sembra di provare amore per tutti, per tutte le cose animate e inanimate, poi mi ricredo perchè penso che amare tutto così indistintamente può voler dire il contrario, può significare non amare distintamente nulla.
D.Bregola,Lettera agli amici sulla bellezza