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mercoledì 20 gennaio 2010

Un pacco piccolo piccolo

Bussano, apre e non trova nessuno. Un pacco, un quesito. Lo prende, lo poggia e lo scarta. E' un sogno. Un sogno grande che è chiuso in pacco piccolo piccolo. E' il sogno di un bimbo, di un bimbo che vuole crescere, ma che non avrà modo di farlo.

Andò così: si tappò le orecchie per non sentire e strozzò il cuore per farlo tacere per sempre.

Un pacco piccolo piccolo, un sogno grande che di più non si può.

mercoledì 13 gennaio 2010

Agnese

Se la mia chitarra piange dolcemente
stasera non è sera di vedere gente
e i giochi nella strada
che ho chiusi dentro al petto
mi voglio ricordare.
Io penso ad un barcone
rovesciato al sole
in un giorno in pieno agosto
le biciclette in riva al mare
Agnese mi parlava
della sabbia infuocata
ed io non so perché
non l’ho dimenticata.
Lei mi raccontava
di quello che la gente
diceva del suo corpo
con malizia ed allegria
ed io che sto provando le cose che provavo ieri
non ho capito ancora.
Se è gelosia o se sono prigioniero
di questo cielo nero
e di un ricordo che fa male
e se continuo a bere i miei liquori inquinati
è vero che quei giorni
non li ho dimenticati.
È uscito un po’ di sole
da questo cielo nero
l’inverno cittadino
sembra quasi uno straniero
Agnese dolce Agnese
color di cioccolata
adesso che ci penso
non ti ho mai baciata.
Agnese dolce Agnese
color di cioccolata
adesso che ci penso...
Io vado in bicicletta
per sentirmi vivo
alle cinque di mattina
con la nebbia nei polmoni
però non c'è più Agnese
seduta sul manubrio
a cantar canzoni
a cantar canzoni.

lunedì 11 gennaio 2010

Svegliarsi...a cuscinate.

Ho pensato corresse, in realtà lui stava solo camminando. Io ero lento, pesante, i piedi affondavano e l'angoscia saliva. Soffiava il vento, le mani erano ghiacciate, lo stomaco chiuso dalla paura, i denti serrati, l'avevo anche fatta sotto. Le orecchie erano come tappate, sentivo soltanto il battito che bussava da dentro e che era lento quanto me. Ero perso. E sempre più lontano, sempre più su, quell'uomo saliva mentre io restavo lì. L'unica parte agile del mio corpo era il cervello: pensavo, lo facevo in fretta, correvo tra le idee. Mia moglie, mio figlio, i miei. Mi guardavo attorno, cercavo di risolvere, facevo come le scimmie di Kohler, ma niente. D'un tratto mi arrivò una pallata di neve in faccia, e poi un'altra mentre cercavo di ripulirmi e respirare, e subito un urlo, vivo, vicino, assordante.
-Papà, sveglia!
Era mio figlio e in faccia avevo beccato una cuscino, quello di mia moglie che cercava di svegliarmi. Che bello però svegliarsi a cuscinate.