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sabato 4 settembre 2010

La famiglia (capitolo VI )

Lino, che tutti avrebbero immaginato nell’orto se solo avessero pensato a lui, quel giorno che si alzò prima del solito a causa del tumulto che aveva in testa dovuto al pensiero della figlia incinta e della moglie che non lo accettava, in realtà si era messo in macchina e si era appostato davanti alla banca in cui teneva i suoi risparmi. L’idea non era quella di fare una rapina, mai sarebbe riuscito a incutere timore agli impiegati, bensì volle attendere che qualcuno aprisse per controllare quante fatiche e quante rinunce era riuscito ad accumulare. Ogni soldo accantonato era più o meno la somma delle serate in balera saltate, dei pantaloni con le pences che non aveva comprato, dei film al cinema che Anna non aveva appoggiato, delle scarpe in pelle e con la punta alla francesina che non si era concesso per andare al matrimonio di un nipote, dell’auto nuova che avrebbe voluto e dei week end che avrebbe potuto trascorrere in montagna assieme alla moglie. Le fatiche di Lino erano molte, si può dire che fossero proprio tutte quelle che avrebbe potuto sostenere senza risparmiare energie. Scese dall’auto parcheggiata nello spazio ad orario, aveva previsto di restare mezzora, e si diresse verso l’ingresso proprio subito dopo che l’impiegato aveva aperto. Lo accolse la voce della specie di siluro in cui incapsularsi prima di toccare terra di valore, la stessa che ricorda di depositare gli oggetti metallici nelle cassette di sicurezza e che lui ogni volta,fra sé e sé , mandava a quel paese. Il buongiorno e il sorriso di cortesia, il numero di conto e subito il dubbio, fra il dover gioire che il gruzzolo crescente da anni si era ormai aggiudicato il nome di bottino e la disperazione davanti alla conferma tacita che la sua vita pesava di sgobbate e privazioni. Ad un tratto i pensieri si fermarono, interrotti in malo modo da una vociata che non era altro che la sequenza di parole ascoltate spesso nei film che piacevano a lui. Lino amava guardare in tv i film che da giovane aveva visto al cinema, ma più in generale si può dire che preferisse i film d’azione, quelli western e anche di Totò. Come dicevo, la frase gridata come Tarzan prima di aggrapparsi alla liana scuoté il poveruomo che si trovò di colpo nello scenario, reale, di una rapina. Tutti a terra, con le facce rivolte verso il basso, le mani dietro la nuca e una serie di grida uguali nell’esprimere il terrore ma varianti nei decibel. Il cuore sano del lavoratore era salito proprio sotto al gozzo, la giugulare si era gonfiata talmente da far sentire il collo della camicia stretto a morte e il sudore freddo inondava il viso teso e sbiancato. La preoccupazione di Lino era i soldi, mica la vita. Sapeva lui quanto valessero i suoi, oltre ogni indice positivo di qualsiasi borsa al mondo.

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