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sabato 28 agosto 2010

La famiglia. Cos'è?

La Famiglia è un racconto breve, qui riportato frammentato, che ho scritto tempo addietro e con cui ho partecipato ad un concorso letterario locale. Al tempo questo racconto, il più lungo che io abbia mai scritto, considerando che non mi spingo più in là di qualche miniatura, era stato per me un gran successo. Non vinsi niente, ma interessare e far discutere la giuria, così come seppi in seguito, fu il regalo più grande che le mie parole potessero regalarmi. Qualcosa avevo lasciato!

L'ispirazione mi venne da un sacco di cose: dalla vita, la mia e di qualche altro, dalla cronaca, dai film che avevo visto, ma fondamentalmente da Niente, più niente al mondo di Massimo Carlotto.

E' un pò il sogno di tanti quello di raccontare in un libro la propria vita o esperienze che sono state fondamentali, parlare di incontri, di amori, di delusioni. Spesso lo si fa con chi si incrocia nello scomparto del treno, ci si confida senza sapere nelle mani di chi vengano messe le emozioni narrate.
Io non sono solita farlo, almeno non col primo che incontro e nemmeno col secondo, ma adoro scrivere, lo faccio da sempre, a giuste dosi e con tanta voglia poi di romanzare.

Questo racconto breve è nato così, nella cornice sopra detta, con le spinte della vita e con l'assoluto interesse a raggiungere in qualche modo la vita altrui. Ho cercato di essere vera, ma di non annoiare con la cronaca, avrei voluto scrivere le parole in modo armonico, così da suonare e risuonare nelle orecchie, desideravo tanto potesse anche lontanamente avere qualcosa di poetico, come i libri di Fermine, ma il risultato è semplicemente quello che si può leggere.

Il romanzare è una missione, mi piace farlo, è un pò anche il mio stile di vita. Leggere la vita come semplice successione di fatti sarebbe avvilente. Mi piace lo spessore, la ricchezza degli eventi, noto i dettagli, i colori e qui, ne La famiglia ho tentato di mostrarlo. Ho tentato, ripeto, perchè fra l'avere un'idea e il realizzarla io ci vedo sempre una grande lontananza.

I personaggi hanno nomi banalmente inventati, le loro caratteristiche sono quelle di tante persone che ho conosciuto, miscelate per bene e scelte poi a dare un carattere a chi prepotentemente voleva solo essere persona. Anche questa è impresa ardua.

Che dire, spero solo che vi piaccia e che possa servire a qualcosa.

venerdì 27 agosto 2010

La famiglia (capitolo V )

La pancia cresceva. Anna si disperava a veder girare per casa la figlia, figurarsi a immaginarla fuori. Pensava che da dietro non sembrava nemmeno… incinta, faticava a dire quella parola. Uno scherzo di cattivo gusto che la natura le aveva fatto. “E’ tutta pancia” dicevano le vicine di casa, le amiche di Silvia, i parenti, addirittura il fornaio. Lei si rinchiudeva in casa per non sentirli. Il pane lo comprava Lino ormai da un mese e mezzo. Al mercato ci andava ormai di rado, anche se fare compere, seppur modeste, le piacesse tanto. Evitava i vicini, tranne la signora Cuti, che incrociava ogni sabato alla finestra mentre scrollava i tappeti per far pulizia. Gina mangiava a testa bassa, non chiedeva le fosse passato nulla che apparecchiasse la tavola, si allungava più che poteva per servirsi da sola, fino a girare attorno al tavolo per evitare di sfiorare Silvia, sembrava le potesse attaccare una malattia. Silvia non ne poteva più, spesso evitava di mangiare con i suoi, quando invece era lì la voce spesso le si spezzava. Era il groppo alla gola che non le faceva uscire le parole, ma se solo fosse riuscita a gridare…”Vi odio”, voleva dire questo a tutti, anche al padre. Odiava il padre per l’incapacità di tirare fuori le palle, per essersi accontentato della vita che conduceva. Odiava la madre perché non le aveva mai fatto un complimento, l’aveva sempre criticata, e perché fondamentalmente desiderava una figlia che non era lei. Odiava Gina perché era nata ottantatré anni prima, da una madre sgobbona per necessità e da un padre che si era ammalato fino a perdere la vista. Forse odiava anche se stessa perché capiva troppo, perché a forza di ragionare tutto riportava e la sua famiglia non sarebbe potuta essere altro che così. Ogni cosa aveva la sua spiegazione. Ogni parola, ogni gesto, ogni sì e ogni no. Lei lo capiva, ma gli altri non se ne erano mai accorti.

Un film, un libro, poteva essere tutto questo la sua vita. Le capitava anche di sognare di leggere la sua storia stampata sul giornale, un terribile fatto di cronaca tinto di pece da una morte, la sua. Ora che aspettava un bambino si sentiva anche in colpa per i suoi incubi, temeva potessero far male alla creatura. I sensi di colpa li aveva anche prima che Nicola le potesse fornire una motivazione valida. Silvia era cresciuta col dovere della colpa, insegnatole dagli adulti che al tempo non erano capaci loro stessi di riconoscere i loro sbagli. Cresciuta, Silvia non era mai riuscita a liberarsi delle sue debolezze, ancora si faceva mettere all’angolo, tuttora lei doveva esser la causa dei litigi dei suoi genitori perché tutto in famiglia restasse normale.

giovedì 12 agosto 2010

La famiglia (capitolo IV )

Una passeggiata, Silvia aveva infilato scarpe comode e si era diretta sul lungomare. Ascoltare le onde la rilassava e pensava facesse bene al bambino. Jonathan Livingston… quando vedeva volare gabbiani pensava sempre a quel gabbiano famoso. Si stava alzando il vento, tirò su il collo del trench e rimase ancora un po’ cercando qualche nave all’orizzonte. I sassi riempivano le mani bianche di Silvia nonostante il fastidio provato per la salsedine che le restava, e continuava e continuava a raccoglierli e a disfarsene subito dopo lanciandoli poco più avanti. I vetrini erano la sua passione: così levigati dalle onde le davano la sensazione di essere molto vecchi e di averne potute raccontare tante. Erano un segno del tempo. Ogni tanto tirava in su col naso, le gocciolava per il freddo, allora si rannicchiava ancor di più, avvicinando le gambe al corpo, resistendo alla sana idea di andarsene. Fortuna il sole che timido intiepidiva l’aria, altrimenti sarebbe dovuta tornare in gabbia. Una folata alla fine appiccicò uno stralcio di foglio di giornale proprio sulla manica sinistra, non riusciva a liberarsene senza tirar fuori le mani dal groviglio che era diventata. Un brivido la convinse ad alzarsi e a prender la strada di casa.

Lorenzo era a lavoro da tempo, faceva sacrifici per mettere da parte i soldi che avrebbero comprato la casa per la sua nuova famiglia. Un nido modesto, colorato come piaceva a Silvia, pieno di libri, con un piccolo giardino e il calore dei loro sentimenti. Niente grida, nessun oggetto lanciato, al massimo un “non voglio parlarti ora” che era seguito sempre da parole chiare e condivise. Era questa la vita che avrebbe voluto offrire alla sua fidanzata, pensava che se la meritasse. Lorenzo sorrideva spesso, rideva alle battute di Silvia, a quelle degli amici e del padre. Il suo sorriso rassicurava Silvia ogni volta che questa pensava di aver detto una stupidaggine. Le passioni di Lorenzo erano Silvia e poi gli amici di sempre, la pesca e la lettura. Nicola avrebbe sicuramente spodestato la mamma, ma il resto sarebbe rimasto uguale. Il più bel regalo che Lorenzo aveva fatto a Silvia era il figlio che attendeva. Il dono che apprezzava di più da parte di Silvia era Silvia.

giovedì 5 agosto 2010

La famiglia (capitolo III )

Il sorriso di Silvia spesso era accennato, quasi non volesse mettere in imbarazzo chi aveva di fronte. Capitava anche che fosse vivace, notevole e rumoroso quando accompagnava il sorriso altrui, per qualcosa che aveva combinato lei. Le piaceva l’idea di far ridere. Anna aveva risate fragorose, scroscianti, molto più evidenti di quelle di Silvia. Bastava poco per far ridere Anna: la battuta del peggiore dei comici, la caduta di un pagliaccio e i litigi fra i vip della televisione. Lino sorrideva. Ci voleva molto per farlo ridere e quando vedeva la moglie farlo si innervosiva. Le risate di Gina erano davvero poche. La rabbia di Silvia era un fulmine a ciel sereno, perché tendeva a tener dentro le insofferenze ma sempre con insuccesso. Vomitava ogni più piccolo dettaglio che l’aveva infastidita, roba vecchia di mesi, il tono della voce si faceva roco fino a finirlo, gli occhi le si inumidivano. La rabbia di Anna era come una scheggia impazzita. Gettava oggetti a terra, gridava e piangeva nel contempo, diventava paonazza e metteva sempre le mani sui capelli. La rabbia di Anna era dovuta alla disperazione, quella di Silvia era per rivendicare. Lino era incontenibile nei momenti di tensione, forte com’era bisognava stargli lontano. Tutta la sua virilità veniva fuori solo quando era fra le mura della sua casa, fuori era generalmente accondiscendente. Forse in casa cercava di far valere il suo ruolo di uomo. Gina si appellava alla proprietà. La casa era sua e avrebbe sbattuto tutti fuori. L’età avanzata non le permetteva di far paura con la voce, né con la forza. Arrabbiarsi con lei era facile, si metteva di impegno per stuzzicare.