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giovedì 22 gennaio 2009

AMORE LIQUIDO di Z.Bauman

Nulla è più visibile da una parte sola, la perdita di senso e di orientamento accompagna gli sguardi degli amanti che vedono mondi diversi, ove nessuna direzione è più marcata di un’altra: “…l’effimero che/stranamente ci riguarda. Di noi, i più effimeri. Una volta/ogni cosa soltanto una volta. Una volta e non più. E anche noi/ una volta. Mai più…”. I possenti versi rilkiani della IX Elegia duinese ci ricordano l’ineffabile, liquido, legame dell’uomo con le cose del mondo, rivelano l’acuta diagnosi di un’umanità senza più diritti, senza più passioni realizzabili, priva ormai della capacità di scegliere, esposta al dominio quotidiano dell’alienazione.

Anche le relazioni personali, i legami sociali tendono a dissiparsi, a disgregarsi, sempre più revocabili, sempre più effimeri. Tuttavia, per Bauman, siamo in presenza di “un’inedita fluidità, fragilità e intrinseca transitorietà che caratterizza tutti i tipi di legame sociale che solo fino a poche decine di anni fa si coagulavano in una duratura, affidabile cornice entro la quale era possibile tessere con sicurezza una rete di interazioni umane”(p.126). Lo stato magmatico dei legami personali e sociali produce un individuo afflitto dalla solitudine, egoista ed egocentrico, che vive nel tempo del non più e del non ancora, vede l’altro come un’antagonista, scava trincee, tende imboscate, perché è costretto a muoversi in un gelido mondo neo-darwiniano.

Stiamo vivendo - avverte Bauman - una nuova fase della modernità all’insegna del principio della sopravvivenza che spazza via la fiducia, la compassione, la pietà e prelude ad un gorgo di smarrimenti e stordimenti dove uomini e donne si scoprono dilaniati tra il vuoto esterno e lo svuotamento interiore.

Non c’è “gabbia d’acciaio” che regga; la modernità liquida è pervasiva, vischiosa, penetrante e disintegra tutto ciò che tocca, raccomanda “mantelline leggere e aborre le gabbie di ferro”, intacca la solidarietà umana,“la prima vittima dei trionfi del mercato dei consumi”. Ed è il consumismo, cioè il ritmo del susseguirsi di acquisti, che trasforma geneticamente l’homo faber della fase solida della modernità nell’homo consumans della fase liquida; quest’ultimo, disorientato da mille cartelli stradali e cooptato dai messaggi che si rincorrono freneticamente sul display del telefono cellulare è “l’unico punto stabile nell’universo degli oggetti in movimento” (p.83).

L’esito di questo processo è preoccupante perché radicalizza l’atomizzazione sociale e genera forme inedite di individualismo e di xenofobia ma il fenomeno più grave è l’espropriazione dell’agire in comune ripiegato sempre più “sugli affari che sono a portata di mano, su questioni locali e su rapporti circoscritti” (p.139).

In altri termini, le città globali si stanno trasformando in veri campi di battaglia su cui poteri globali, identità locali, mixofobia e xenofobia si incontrano e si scontrano al fine di rabberciare soluzioni locali a contraddizioni globali.

Ma quello che inquieta è che si tratta soprattutto di rifiuti umani (i non luoghi dei campi profughi recintati nel ricco Occidente o il surplus di umanità che sopravvive in ampie parti del globo) che la globalizzazione capitalistica attrae ed espella.

Chissà che non valga la pena – è l’invito dell’autore ai suoi lettori in alcune belle pagine del libro – riprendere in mano il vecchio Kant, quello della Pace Perpetua, che meditò sul fatto che tutti noi abitiamo e ci muoviamo sulla superficie della terra e non abbiamo altro luogo in cui andare, destinati come siamo a restare per sempre in reciproca compagnia e immaginò un mondo meno liquido e più solido per un viaggio, ‘non utopico’ verso “l’unità universale del genere umano”.

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